NAPOLEONE BONAPARTE SI SPENSE IL 5 MAGGIO 1821 ALL’ ETA’ DI 51 ANNI , DOPO TREMENDE SOFFERENZE CAUSATE DA UN TUMORE ALLO STOMACO, LA STESSA PATOLOGIA CHE ALCUNI ANNI PRIMA CAUSO’ LA MORTE DEL PADRE CARLO MARIA BONAPARTE. LA NOTIZIA DELLA SUA MORTE RAGGIUNSE LA CITTA’ DI MILANO DOPO PIU’ DI 2 MESI, IL 16 LUGLIO. ALESSANDRO MANZONI, TRA IL 17 ED IL 19 LUGLIO, SCRISSE UN’ ODE DEDICATA ALL’ IMPERATORE DI FRANCIA, ANCHE SE SUO NOME NON VIENE MAI MENZIONATO, BATTAGLIE, VITTORIE E SCONFITTE EVOCANO LA SUA PRESENZA.
LA MADRE LO AVEVA AFFIDATO ALLE CURE AD UN MEDICO CORSO, “FRANCESCO AUTOMMARCHI”. MA IL SUO DESTINO ERA GIA’ SCRITTO. NAPOLEONE INIZIO’ A PEGGIORARE LE SUE CONDIZIONI DI SALUTE GLI ULTIMI GIORNI DEL MESE DI APRILE, IL PRIMO MAGGIO IL DOTTOR ARNOTT GLI SOMMINISTRO’ UN ANTI ERMETICO CONTRO IL PARERE DEL DOTTOR AUTOMMARCHI. LE SUE CONDIZIONI SI AGGRAVARONO RAPIDAMENTE; IL 4 MAGGIO ENTRO’ IN COMA E SPIRO’ IL 5 MAGGIO ALLE ORE 17,49.
MA FU DAVVERO QUESTA PATOLOGIA LA CAUSA DELLA SUA MORTE? ALCUNI RICERCATORI SOSTENGONO CHE NAPOLEONE BONAPARTE MORI’ PER AVVELENAMENTO ATTRAVERSO UN’ ASSUNZIONE PROGRAMMATA E COSTANTE DI ARSENICO. IL DOTOR PASCAL KINTZ, TOSSICOLOGO DI MEDICINA LEGALE DI STRASBURGO, RILEVO’ , IN UNA CIOCCA DI CAPELLI, UNA CONCENTRAZIONE DI ARSENICO DA 7 A 38 VOLTE SUPERIORE A QUELLA NORMALE. LO STESSO MEDICO NEL 2003 INDIVIDUO’ UNA CERTA QUANTITA’ DI ARSENICO ANCHE SUL MIDOLLO OSSEO CHE POTEVA ESSERE SOLO DI ORIGINE ENDOGENEA OVVERO ASSUNTA TRAMITE IL FLUSSO SANGUIGNO.
NELLA RIVISTA “SCIENCE ET VIE” VENNERO PUBBLICATE DELLE ANALISI RIFERITE AGLI ANNI 1805,1814; ESSE RILEVARONO COMUNQUE GROSSE CONCENTRAZIONI DI ARSENICO SUI CAPELLI, FORSE A CAUSA DI QUALCHE LOZIONE, TUTTO QUESTO SMONTAVA LA TEORIA COMPLOTTISTICA. IN QUELL’ EPOCA I CAPELLI DI MOLTE PERSONE CONTENEVANO UN ALTO GRADO DI ARSENICO, RITENUTO INSUFFICENTE PER CAUSARE UNA MORTE.
E’ POSSIBILE CHE IL GOVERNO INGLESE AVESSE PREDISPOSTO UN PIANO CHE PREVEDEVA UN AVVELENAMENTO GRADUALE DI NAPOLEONE?
IL CONTE CARLO TRISTANO DI MONTHOLON PER GELOSIA (SI RACCONTA CHE NAPOLEONE AVREBBE AVUTO RAPPORTI CON LA MOGLIE ALBINA DI VASSAL) O PER VENDETTA (PER LA DESTITUZIONE DI CARICA DI AMBASCIATORE) AVREBBE POTUTO SOMMINISTRARE DEL MERCURIO A DOSI COSTANTI TRAMITE I VINI DELLA CANTINA DI CUI ERA RESPONSABILE.
SECONDO ALTRI RICERCATORI POTREBBE ESSERSI TRATTATO DI UN AVVELENAMENTO CAUSALE DOVUTO ALLA CONTINUA ASSUNZIONE DI ORZATA, UNO SCIROPPO A BASE DI MANDORLE AMARE CONTENENTI QUANTITA’ DI ARSENICO MESCOLATO CON MERCURO UTILIZZATO COME DISINFETTANTE INTESTINALE (CALOMELANO).
L’ 11 FEBBRAIO 2008 L’ISTITUTO NAZIONALE DI FISICA NUCLEARE RESPINSE L’ IPOTESI DI AVVELENAMENTO.
Ei fu. Siccome immobile,
Dato il mortal sospiro,
Stette la spoglia immemore
Orba di tanto spiro,
Così percossa, attonita
La terra al nunzio sta,
Muta pensando all’ultima
Ora dell’uom fatale;
Nè sa quando una simile
Orma di piè mortale
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
Vide il mio genio e tacque;
Quando, con vece assidua,
Cadde, risorse e giacque,
Di mille voci al sonito
Mista la sua non ha:
Vergin di servo encomio
E di codardo oltraggio,
Sorge or commosso al subito
Sparir di tanto raggio:
E scioglie all’urna un cantico
Che forse non morrà.
Dall’Alpi alle Piramidi,
Dal Manzanarre al Reno,
Di quel securo il fulmine
Tenea dietro al baleno;
Scoppiò da Scilla al Tanai,
Dall’uno all’altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
L’ardua sentenza: nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
Del creator suo spirito
Più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
Gioia d’un gran disegno,
L’ansia d’un cor che indocile
Serve, pensando al regno;
E il giunge, e tiene un premio
Ch’era follia sperar;
Tutto ei provò: la gloria
Maggior dopo il periglio,
La fuga e la vittoria,
La reggia e il tristo esiglio:
Due volte nella polvere,
Due volte sull’altar.
Ei si nomò: due secoli,
L’un contro l’altro armato,
Sommessi a lui si volsero,
Come aspettando il fato;
Ei fe’ silenzio, ed arbitro
S’assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell’ozio
Chiuse in sì breve sponda,
Segno d’immensa invidia
E di pietà profonda,
D’inestinguibil odio
E d’indomato amor.
Come sul capo al naufrago
L’onda s’avvolve e pesa,
L’onda su cui del misero,
Alta pur dianzi e tesa,
Scorrea la vista a scernere
Prode remote invan;
Tal su quell’alma il cumulo
Delle memorie scese!
Oh quante volte ai posteri
Narrar se stesso imprese,
E sull’eterne pagine
Cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
Morir d’un giorno inerte,
Chinati i rai fulminei,
Le braccia al sen conserte,
Stette, e dei dì che furono
L’assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
Tende, e i percossi valli,
E il lampo de’ manipoli,
E l’onda dei cavalli,
E il concitato imperio,
E il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
Cadde lo spirto anelo,
E disperò: ma valida
Venne una man dal cielo,
E in più spirabil aere
Pietosa il trasportò;
E l’avviò, pei floridi
Sentier della speranza,
Ai campi eterni, al premio
Che i desidéri avanza,
Dov’è silenzio e tenebre
La gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
Chè più superba altezza
Al disonor del Golgota
Giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
Sperdi ogni ria parola:
Il Dio che atterra e suscita,
Che affanna e che consola,
Sulla deserta coltrice
Accanto a lui posò.
(Alessandro Manzoni)
MERCURIO 