LA CROCIATA DI GIOVANNI DA VIDOR, I MISTERI DEI MARTIRI FELTRINI E SANTA BONA

Un connubio tra storia e leggenda che si intreccia tra i miti degli antichi cristiani e le crociate in terra santa, ricordi che il passare dei secoli non è riuscito a cancellare. Ci troviamo nel suggestivo territorio compreso tra le province di Belluno e Treviso, luoghi un tempo soggetti al controllo della Serenissima Repubblica di Venezia, un paesaggio mutato dai ripetuti e continui eventi bellici. Gran parte dei monumenti storici sono stati distrutti e rasi al suolo dai bombardamenti della prima guerra mondiale, fenomeno che ha interessato direttamente le terre del Piave. Alcuni edifici sono stati ricostruiti; pochi sono quelli più fortunati che, non trovandosi nelle posizioni strategiche militari, sono rimasti intatti. Ad Anzù, frazione di Feltre, sullo sperone del monte Miesna, sorge un antico santuario medievale dedicato ai santi martiri Vittore e Corona.

La vicenda dei due martiri è raccontata in alcuni documenti scritti, due secoli dopo la loro morte, in lingua latina, greca e siriaca: Vittore era un soldato romano cristiano; Corona, probabilmente, era sua moglie. Colti in un momento di preghiera, vennero subito accusati di professare la religione cristiana, allora proibita, ed infine processati dal giudice Sebastiano.

Era l’anno 171, sotto l’impero di Marco Aurelio. Vittore, dopo gli interrogatori, non cedette alla lusinga della libertà nel caso avesse rinnegato il cristianesimo; gli vennero spezzate le mani, tolti gli occhi, torturato con il fuoco ed, infine, decapitato.

Diversa la sorte di Corona. La ragazza sedicenne, venne legata alle caviglie alle cime di due palme piegate che, raddrizzandosi velocemente, squarciarono in due il suo corpo.

La caparbietà dei due coniugi nel sopportare la violenza e la loro tenacia a non arrendersi fino alla morte, li resero, fin da subito martiri molto venerati dagli antichi cristiani.

Santissimi martiri Vittore e Corona – affresco basilica

Nell’anno 205 un vescovo fece trasferire, per maggior sicurezza, le reliquie dei due martiri a Ceronia, nell’isola di Cipro e, successivamente, nel VIII secolo, le loro spoglie vennero traslate a Venezia ed ospitate nella chiesa di San Moisè.

Grazie agli ottimi rapporti diplomatici con la Serenissima, si stabilì un accordo secondo il quale le reliquie venissero destinate alla chiesa di Belluno, ma l’accordo non aveva previsto quale fosse stata la volontà dei due santi martiri.

La leggenda narra che , durante il trasporto, le due mucche che tiravano il carro con a bordo l’arca delle reliquie, si fermarono improvvisamente ai piedi del monte Miesna, rifiutandosi di proseguire.

La stessa notte, apparve in sogno ad una vecchietta del luogo, in armatura folgorante, l’immagine di San Vittore che le comunicò di non voler continuare il viaggio; la sua volontà era quella di poter riposare nel sacello che sorgeva sullo sperone del monte soprastante. La vecchietta, di notte, prese per il giogo le due vacche che trainavano il carro e le guidò fino al luogo indicato. Nel percorso che porta all’attuale santuario, in un capitello, sono conservate alcune impronte delle due mucche guidate dalla vecchietta.

La costruzione del santuario che raccoglie le spoglie dei due martiri iniziò nell’anno 1096 su commissione del feudatario di origine longobarda Giovanni da Vidor. Sorge su una pianta a forma di croce greca direzionata in posizione est-ovest ed affiancata dall’abside che contiene le spoglie dei due santi martiri. Ricca di affreschi più volte restaurati. Tra i maggiori restauri spicca quello dell’anno 1354 per i lavori eseguiti in occasione della visita di Carlo IV di Boemia.

Per le decorazioni lapidee è stato utilizzato materiale di recupero dallo spoglio di altri edifici, quelli dell’arca dei santi precedono la costruzione della basilica, quindi sono originali.

Esternamente, addossata alla parete dell’abside, ed evidenziata da un’iscrizione in latino si trova la tomba di Giovanni da Vidor: “Nel 1096 Giovanni, padre di Arpone, fondò su uno sperone roccioso sul monte Miesna l’aula di San Vittore e Corona e, il figlio, quale segno di devozione in vista della presenza in crociata o per il transito di miglior vita lo affida ai martiri feltrini le cui reliquie sono giunte miracolosamente nel sito.”

L’ epitaffio ricorda i due martiri feltrini e menziona la partecipazione alla prima crociata da parte di Giovanni da Vidor.

L’omelia da parte del papa Urbano II aveva indotto la nobiltà europea ad organizzare un esercito per la liberazione del sacro sepolcro di Gerusalemme, occupata dai mussulmani. Giovanni, fedelissimo all’imperatore del Sacro Romano Impero Enrico IV di Franconia, riuscì ad arruolare un esercito di circa 90 uomini provenienti da Feltre, Belluno, Valdobbiadene e zone limitrofe e nel 1084 partì per la prima crociata conclusasi nel 1099 con la vittoria di Goffredo di Buglione e la liberazione di Gerusalemme e del Sacro Sepolcro.

Secondo quanto riportato nella lapide Giovanni da Vidor morì nell’anno 1096, anno della costruzione del santuario. Non trovando altra documentazione riguardante questo argomento possiamo supporre che il “Giovanni da Vidor” che partecipò alla crociata in terra santa fu “Giovanni Gravone” figlio del Giovanni maggiore che fece costruire il sacro edificio, mentre l’altro figlio, Arpone, arcivescovo di Feltre, lo consacrò.

Giovanni Gravone ritornò dalla crociata a bordo di una galea veneziana nell’anno 1101 trasportando a Venezia le reliquie di Santa Bona, poi traslati a Vidor e custoditi in una chiesetta di sua proprietà. Giovanni convocò un notaio e fece redarre un atto di donazione della chiesetta e delle reliquie della santa all’abbazia di Pomposa con la richiesta di far costruire una nuova abbazia dedicata a Santa Bona a Vidor ed i diritti di attracco sul fiume Piave . La costruzione dell’edificio terminò nel 1110 e venne affidato a monaci benedettini.

Nell’epitaffio presente nella tomba di Giovanni da Vidor, viene menzionata la presenza alla crociata del figlio di “Giovanni” ma non ne viene citato il nome, quindi un’altra possibilità è quella che a partecipare alla crociata sia stato l’atro fratello “Ezzelino” legato da una profonda amicizia con l’imperatore del Sacro Romano Impero e presente nell’atto di donazione.

Le reliquie di Santa Cordimonda meglio conosciuta come “Santa Bona Egizia”, vennero trasportate da Giovanni Gravone attraverso il fiume Piave, dove si fermò per una sosta presso una località denominata “Bona”, appellativo che contribuì a sostituire il nome di santa Cordimonda in santa Bona. Giovanni Gravone, una volta sbarcato al guado del Piave a Vidor, consegnò le spoglie della santa ai monaci benedettini.

L’abbazia venne completamente distrutta durante la prima guerra mondiale e venne ricostruita nel 1923 rispettando le caratteristiche originali ed includendo opere d’arte dotate di in simbolismo spirituale. Non mancano simbolismi esoterici tra cui spiccano le colonne annodate.

Abbazia Santa Bona – Vidor

Anche le reliquie di santa Bona erano scomparse, fino a quando, un artigliere ritornato dalla guerra, cercando le reliquie di famiglia scoprì un mucchio di ossa raccolte in una ovatta giallastra che la contessa Alfonsa Miniscalchi riconobbe come le reliquie di Santa Bona.

Esistono un paio di versioni secondo cui Cordimonda era una ragazzina che, rimasta orfana fu costretta a vivere con dei parenti ed un’altra che la descrive come una principessa egizia figlia del principe Zabul. Comunque sia compiuti dodici era destinata ad un matrimonio combinato. Cordimonda, però, si oppose affermando di essere già sposa di Cristo. La decisione era già stata presa e la ragazzina fu costretta a fuggire. Si rifugiò in un convento e strinse una profonda amicizia con una consorella.

Cortile Abbazia Santa Bona – Abitazione privata

Gli eventi portarono la consorella ad ammalarsi gravemente. Il profondo legame di amicizia la portò ad implorare Dio di voler accompagnare l’amica in paradiso. Tre giorni dopo morì pure lei. Le suore raccontarono che il il corpo della defunta emanava un soave e gradevole profumo e rifletteva una intensa luce, fenomeno che perdurò fino alla sua tumulazione.

La casata dei “Vidor” diffuse nel territorio trevigiano- bellunese i principi della tradizione longobarda legata a Gesù e ai martiri cristiani.

Giovanni da Vidor padre o Giovanni Maggiore ottenne le reliquie di due santi molto onorati e venerati, Giovanni da Vidor figlio o Giovanni Gravone, trasportò a Vidor le reliquie di Santa Cordimonda, in un periodo un cui le reliquie avevano un’enorme importanza dal punto di vista religioso ma anche commerciale e, in un certo senso, turistico. La presenza delle reliquie richiamava molti pellegrini, anche provenienti da lontano e ciò costituiva un’enorme ricchezza per il feudo che poteva usufruire dei numerosi introiti .

Storie drammatiche come il martirio dei cristiani, si completano con le leggende raccontate nel medioevo facendo nascere nuove figure mitologiche dal primo cristianesimo, figure che meritano di essere ricordate non come miti ma come persone che, di fronte alle peggiori torture e alla morte, non hanno mai rinunciato al proprio credo, onorando il “vero mistero della fede”.

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